Anche in 331 METRI AL SECONDO (Harper Collins, 284 pagine), terzo libro della napoletana Rosanna Rubino, Milano, la città dove l’autrice lavora, è sfondo perfetto di un thriller calato negli attriti della modernità: vite marginali e santuari della finanza, sfavillanti progetti urbanistici e periferie degradate. E anche qui l’eroe parte dal lato buio della strada: si chiama Chon Cimmino, ha origini napoletane (che nel finale ritroverà), e gli hanno ucciso la madre e il padre spacciatore quando aveva 12 anni. Quel giorno lui c’era, steso sotto un divano, per proteggersi dal frastuono. Chon soffre infatti di iperacusia: ha un udito acutissimo e anche i più deboli rumori gli causano fastidio e rumore. Un tallone d’Achille e una specie di super potere: può infatti percepire suoni e parole anche a grande distanza. Dopo il delitto, e dopo 64 giorni trascorsi nascosto in un sotterraneo del metrò (i cronisti l’avevano battezzato “Metro Boy”), per Chon si sono aperte le porte dell’orfanotrofio.
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Ci sarà un finale apocalittico, e un colpo di scena destinato a “riscrivere” tutta la vita di Chon. La storia è assai avvincente e scritta benissimo: con asciuttezza anche quando gioca con le parole (“lo sceicco del Qatar emireggia, l’assessore all’urbanistica si pavoneggia, il Fermo volpeggia, il cielo cazzeggia tra il viola cremisi e il blu cobalto”). L’espediente dell’handicap uditivo, che non è buttato lì confidando solo nella complicità del lettore, ma indagato con ostinata precisione, diventa motore e quasi centro filosofico della storia: perché “qualunque suono che venga dalla natura, anche il più spaventoso, è meglio dell’affanno di un uomo che si danna per trovare il suo posto nel mondo”
Francesco Durante