DAL BLOG SOGNANDO LEGGENDO SU TONY TORMENTA : “ROMANZO PREGEVOLE (…)”

Quando si ha l’occasione di posare gli occhi su un romanzo d’esordio italiano, introdotto in questi termini, un lettore con un po’ di esperienza alle spalle finirà sempre con l’approcciarsi a esso con una sorta di timorosa anticipazione. Che sia solo il classico colpo di marketing che tende a infiocchettare con attraente carta luccicante un prodotto scadente? È possibile imbattersi in casi del genere ogni giorno, al punto che la diffidenza dilaga.

Tony Tormenta è invece una piacevole, sorprendente e inaspettata eccezione.

Risultato della penna della partenopea Rosanna Rubino, opera d’esordio e romanzo “controcorrente”, Tony Tormenta attira l’attenzione del lettore per il suo arrivo in sordina, lontano dalle luci della ribalta facebookiane, lontano dalle pagine web dei siti d’èlite e, soprattutto, accompagnato dalle parole di Raul Montanari che lo definisce come il frutto del famoso Philip K. Dick, reincarnatosi nell’implacabile e travolgente scrittura della Rubino. Di fronte a un invito, no, forse una provocazione, di questo livello, come è possibile non cedere?

Sicuramente Philip K. Dick non si sarà reincarnato nell’autrice, ma Montanari non si è allontanato molto dal concetto base: Rosanna Rubino sa scrivere, lo fa bene e Tony Tormenta è un romanzo pregevole, soprattutto se consideriamo che stiamo parlando di un’opera d’esordio.

Conosciamo Tony fin dalla primissima pagina e l’empatia è immediata, bastano le poche righe del prologo a catturare l’attenzione del lettore, anche quella del più sospettoso. Un ricordo, qualche parola e l’immenso acquario che viene incrinato dalla volontà di un bambino di soli nove anni. Incontriamo Tony Tormenta, invadiamo i suoi pensieri e comprendiamo che quel nome, di origini chiaramente italiane, porta con sé un destino.

Tony è oggi un adolescente, bello e inquietante. Vive nel Nebraska, un posto inospitale fatto di insetti, caldo torrido, piogge e immensi campi di granturco. Un posto troppo piccolo e soffocante per una persona come Tony. Un ragazzo in cerca di solitudine, silenzioso, con una mente speciale in grado di assimilare immediatamente informazioni e dalla logica fredda e pacata come uno specchio d’acqua. Immobile, certo, ma in grado di incresparsi al minimo tocco, sino a formare portentose onde. Uno tsunami di potenza che Tony tiene sotto controllo contando, sasso dopo sasso, piastrella dopo piastrella. Conta e la sua anima si acquieta, lo specchio d’acqua torna calmo e il pericolo passa. È questa la vita di Tony: conoscenza, isolamento, controllo e potere.

Lo specchio si infrange nuovamente quando nella vita di Tony arriva Marla. La difficile, irrequieta e spaventata Marla, ragazza dal carattere forte e dall’aspetto fragile di chi, tradito dai propri geni, si approccia al mondo con la consapevolezza dei suoi limiti.

Marla e Tony condividono una mutazione genetica che si manifesta nella prima con l’albinismo e nel secondo con un potere telecinetico forte, instabile e spaventoso. Condividono l’esistenza di chi è diverso, sono legati e dal legame nasce un sentimento, che poco ha che vedere con la tenerezza. Forse è amore, forse istinto di protezione, forse non è nulla, ma il legame c’è.

Il romanzo s’impenna e, fra un pensiero di Tony e la triste rassegnazione di Marla per il suo futuro, accompagniamo il protagonista verso la consapevolezza, la presa di coscienza e la reazione, forte e violenta, della sua esistenza. Tony, dopo l’ennesimo atto di bullismo che gli porterà via Boa, il silenzioso lupo che lo affianca da anni, interrompe il silenzio, rompe la tacita promessa di non irrompere la vita degli altri con la sua presenza e si muove.

«Ehy, Mister Mammoth Rock, ce l’hai la lingua per parlare?»
Non dico una parola, continuo per la mia strada, ma i miei occhi parlano.
I miei occhi dicono: ‘Baciatemi le chiappe e recitate un Deo Gratias ogni mattina,
perché più io resto in silenzio,
più voi potete blaterale a gran voce pensando di essere i padroni del mondo’.

È dalla decisione di Tony di fare qualcosa che il romanzo scivola dalla prima parte alla seconda, ambientata nove anni dopo, dove incontriamo un Tony ventiseienne. Tony e Marla sono adulti, si sono persi e poi ritrovati, e il passato continua a pressarli inesorabilmente. È l’Alaska il nuovo palcoscenico delle loro esistenze, un palco fatto di perdizione, morte, oblio, malavita e rassegnazione. Con il cambio di scenario anche la scrittura della Rubino cambia: non ci sono più la rabbia e la frenetica ricerca del controllo che avevano animato la prima parte, c’è uno stile secco, freddo e deciso, specchio di ciò che è diventato, o forse è sempre stato, Tony. L’uomo di ghiaccio che tutti lo hanno sempre accusato di essere.

È un personaggio che vive il suo personale bad trip, che lo cerca e se ne abbevera, donna dopo donna. Un uomo che ricuce, cura e salva vite su compenso, che salva una vita solo perché lo hanno pagato, consapevole che durerà il tempo di sputare le risposte che altri cercano, per poi venir ucciso.

Ricorda quasi la freddezza di John Taylor di Nightside (Simon R. Green), come lo stile e l’ambientazione rievocano le fredde pennellate di Green, con le sue situazioni allucinanti, avvenimenti paradossali e frenetica follia, che si scontra con l’immobilità del personaggio principale, che si fa scivolare tutto addosso, con granitica indifferenza.

Ma sarà la terza e ultima parte che, con tutta la sua brevità, sconvolgerà il lettore lasciandolo a boccheggiare di fronte ad un finale giusto, ma ingiusto. Non poteva andare diversamente, a posteriori si comprende, ma non si accetta. Lascia con la frustrazione, l’ansia e quella punta di fastidio che ti pianta un romanzo nella mente per le ore a venire. Che trasforma un buon romanzo in un bel romanzo, in qualcosa di completo.

È così che l’opera della Rubino trova completezza, si risolve e ti lascia a fare i conti con gli strascichi di un libro che si può amare, o odiare, senza mezzi termini. Nessun compromesso, se non la consapevolezza che, ad ogni modo, la prosa dell’autrice è ben superiore a quel che ci possa aspettare da un normale esordiente. Come la sua opera è qualcosa di più di un semplice young adult, di un romanzo di formazione: è un esperimento coraggioso e assolutamente ben riuscito.