“Sei come lo strato di terra ricoperto di ghiaccio perenne, quello che sta lì immobile nei millenni, congelato fin dai tempi dell’ultimi glaciazione. L’ho pensato quando ti ho visto la prima volta: il cuore di quest’uomo batte per niente, che il resto del mondo viva o muia per lui fa lo stesso.”
Mi sono ritrovato davanti il romanzo d’esordio di Rosanna Rubino per caso. Non ne avevo mai sentito parlare prima, non avevo visto in giro countdown frenetici che indicavano i giorni, le ore, i minuti e i secondi che mi separavano dalla data d’uscita, non lo aspettavo: sbucato così, completamente dal nulla. Dall’uovo di Pasqua, o più probabilmente dall’inferno. Ho trovato la scheda nella mia virtuale cassetta della posta e mi sono detto: sì, leggiamolo. Le poche pagine non mi avrebbero rubato troppi giorni, la trama era accattivante, la copertina semplicissima. Non ci ho pensato troppo su, fino a quando non è arrivato. L’ho tolto dal plico e mi sono ritrovato naso a naso con il ragazzo in copertina. Aria incazzata, occhi incazzati, una zazzera di capelli scuri a coprire parte del viso – esattamente come quando, incazzati, non vogliamo che nessuno ci guardi e non vogliamo guardare nessuno. Titolo strano, protagonista strano, romanzo strano. “A noi due, Tony Tormenta!”, mi sono detto.
Sfogliata la prima pagina, mi sono ritrovato a camminare tra i suoi pensieri: pensieri che piovono addosso, ti urlano contro, ti fanno accapponare la pelle. Riempie d’inquietudine stare nella sua testa. Lui non è solo sulla carta, tra le macchie dell’inchiostro. E’ come se sapesse, durante la lettura, che ci sei anche tu: che hai invaso il suo territorio. Vuole solitudine, ma infondo cerca compagnia. L’ho sempre saputo. Vive in Nebraska, un posto brutto già solo dal nome. Insetti, carcasse dimenticate, animali impagliati, caldo torrido e pioggia lurida, campi di gran turco a perdita d’occhio, gole di pietra e fitta boscaglia. Un posto senza futuro, anche se a lui basta poco per sopportare: gelatine alla fragola, nastri di liquirizia, voluminosi tomi di medicina, una bici e una coda d’asfalto scuro che si snoda davanti ai suoi occhi, i mugolii di un cane solitario quanto lo è lui, le dita di una mano sulle quali contare fino a cinque… giusto per sbollire la rabbia. Per non pensare a quelle brutte cose che, poi, volendo o non, diventano realtà. E poi c’è Marla, e a Tony la vita non fa più così orrore: un corpo androgino, lentiggini sul viso numerose come ciliegie in un bosco, una pila di manga e di dischi dei R.E.M., un poster dello splendido Non lasciarmi in camera, pelle e capelli bianchi come il latte. E’ albina, e i suoi geni hanno qualcosa che non va, come quelli di Tony. Il rapporto tra i due è inclassificabile, perché non c’è spazio per la tenerezza quando, come loro, si è invisibili al resto del mondo. Ci pensa la vita a separarli, la stessa vita a farli – nove anni dopo – rincontrare ancora.
La prima parte della loro storia dà vita a un romanzo di formazione assurdamente spaventoso e bello; la seconda è un incubo dal senso che, all’inizio, sfugge ai sensi. L’autrice torna a parlarci del protagonista e Marla quando sono grandi. Ma “due bambini infelici non potranno mai essere due adulti felici”. Il Paese che stavolta scorre intorno a loro è un’Alaska di perdizione e peccato, locali notturni e malavitosi, che ricorda i volti ormai non più così inediti di Las Vegas e Bangkok. Mentre in principio il tono era truce, iracondo, di una terrificante quiescenza, la scrittura muta radicalmente nella seconda parte. Il tono è secco, assertivo, distaccato: tipico di chi dice che le cose stanno così, punto e basta. E’ intagliato nel ghiaccio, sfaccettato ed irregolare come se le singole frasi fossero nate dai colpi e dalle accettate inflitte a un inerme tronco d’albero. Facciamo l’esempio di un bacio, per dirne una, descritto senza mai ricorrere alla parola bacio: uno sfregare di lingue e denti, un mordersi le labbra a vicenda. Amore senza amore.
Il Tony del futuro sembra il personaggio di un trip mentale allucinato ed allucinogeno, dove tutto è un casino di luci, avvenimenti paradossali e personaggi stranissimi. In un primo momento ho pensato allo sguardo di Satana della famosa Carrie di Stephen King, al fatto che il Davide Simon Mazzoli di Lo specchio del male avrebbe usato lo stesso atteggiamento se, in un suo ipotetico romanzo, avesse parlato di adolescenti e bulli; l’attimo dopo, invece, ero piombato senza paracadute in un film di David Lynch. E, per inciso, a me Lynch non piace. Mai piaciuto.
Eppure Tony Tormenta, l’ho letto velocissimamente: l’ho preso in mano e non l’ho lasciato più. L’ho divorato fino alla fine e lui – un po’ demone – ha divorato me. Mi sono sentito cuore e budella in gola, la razionalità sotto le scarpe, la bocca spalancata in una O senza senso. Non poteva finire così, no, ma non poteva finire nemmeno diversamente. Il colpo è stato disturbante, lo shock forte: non ho nemmeno capito se in positivo o negativo, se il romanzo mi sia piaciuto oppure no. Una cosa è certa: io non smetto di pensarci, e questo non mi capitava da mil-len-ni. Meglio restare senza parole che del tutto indifferenti. Ha più fascino sull’uomo un tifone distruttivo che un acquazzone leggero: proprio vero! Preferisco l’ansia, la frustrazione, il fastidio, l’andare forsennatamente a rileggere i capitoli conclusivi, anziché l’apatia.
Per l’esordio di Rosanna Rubino non esistono accomodanti mezzi termini: o fa impazzire, o si detesta fino alla fine. Non è per tutti i palati, non è l’ennesimo young adult che – anche un tantino rassegnato – mi sarei invece aspettato. Se non me l’avesse certificato la breve biografia stampata sull’aletta della copertina, avrei potuto giurare di non trovarmi a leggere il libro di un’esordiente, bensì un ardito esperimento d’autore.
Trovandomi davanti alla prosa di Rosanna Rubino mi sono venuti in mente i nomi di grandi autori. I più grandi per me. Sono questi i libri che voglio trovare in libreria; questi i prodotti che le fascette promozionali dovrebbero urlare ai quattro venti come effettive novità.
Ma allora, cos’è in definitiva questo Tony Tormenta? Forse, La solitudine dei numeri primi che, facendo un salto nel lato oscuro, conosce Donnie Darko.